FIRENZE, VILLA ROMANA LUGLIO 2002
Se oggi nasci pittore, devi avere la forza di sopportare la certezza della sconfitta e rassegnarti a un destino di solitaria inattualità. Devi ritrovare il senso di una lingua, quella della pittura, il cui mondo è ormai tramontato. Devi imparare che il pittore non è un soggetto moderno, perché la modernità è velocità, discontinuità, montaggio in tempo reale e poi sovrapproduzione di immagini per difetto di prospettiva, per mancanza di centro e infine per debolezza soggettiva. La fotografia e il video, arti nuove ormai celebratissime, hanno infatti questa peculiarità: trasformano anche lo spazio in tempo, come nostalgia dell’istante perduto e poi ritrovato o solo immaginato nel flusso di un’esperienza estetica rigenerante. La pittura lavorerà al contrario, ammazzando il tempo (e sono purtroppo tanti i pittori della domenica!), coltivando noia e lentezza, tessendo letteralmente la medesima tela che si fa e si disfa con pazienza infinita. E’ un lavoro antico quello del pittore. Ci si immagina che il pittore, come il poeta, sia un’anima bella, spaesata nel mondo prosaico in cui siamo gettati. Mai si prova a vedere quanto lavoro c’è dietro un segno o un colore, così come tanta opaca fatica sempre si cela dietro la brillantezza cristallina di un verso. Franco Fedeli è nato pittore. Se Franco Fedeli sarà ricordato nella storia dell’arte si dovrà sempre rammentare anche il suo luogo d’origine. Gli studi all’Accademia e la frequentazione del mondo artistico italiano e internazionale lo disposero all’esercizio della pittura. Ma la vocazione gliela donò sicuramente la sua città, Arezzo. Quella terra toscana smossa dagli umori sanguigni di Pietro e impastata nella storia della grande pittura italiana. Nel suo percorso non mancheranno I segni dell’accumulo di acquisizioni ed esperienze, che ogni buon studente d’Accademia ha tatto, fa e farà studiando la storia e le tecniche dell’arte moderna e contemporanea. E un critico attento potrà anche vedere nel lavoro di Fedeli un eccesso di vitalità, quasi una voracità che gli fa macinare superfici e volumi, miscelando gli stilemi della pittura neo-espressionista. Su tutte le altre si sente battere l’ala protettiva della lezione di Mimmo Paladino, pittore italiano di grande forza evocativa con le sue superfici riflettenti mitologie e simbologie arcaiche. In fin dei conti, però, lo spazio di Fedeli coincide con il luogo di nascita della sua pittura, proprio perché se ne vuole emancipare. Se si nasce pittori, si nasce in un posto e non in un altro, e la scommessa del pittore è rendere universale quel posto. Il vero pittore infatti non è una gloria locale, viceversa rende glorioso il luogo da cui viene al mondo. Il pittore lavora lo spazio e lo spazio ci dona con le sue immagini: più grande, perché più aperto, perché più libero. Ma lo spazio del pittore non è mai astratto: è terra, aria, acqua e luce. Ed è uno spazio sempre insicuro, sfuggente, cangiante. Perciò Fedeli deforma la spazialità della sua pittura, andando verso una dimensione più profonda. Verso il sogno, l’emozione nascosta, la vibrazione interiore. E’ il suo modo di sfuggire al luogo comune (Arezzo e la Toscana ) e, raccontando una storia segreta, di creare un proprio spazio più grande per visitatori attenti e sensibili.
EDUARDO CICELYN
.. Sono oli e pastelli, che segnano il biennio ultimo, che dichiarano esplicitamente amore ad Alberto Savinio, o forse à son double : non ad un modello pittorico, se non per transito formale, ma ad un pensiero,ad un’attitudine,ad una scelta radicale d’esemplare imitabilità
Errabondo, in realtà è lo spirito tutto di Fedeli, divagante e, verrebbe da dire per assonanza esplicita, argonautico. Cerca, attraverso le arguzie del comporre, della pratica ora lenta e intrisa di sapienza, ora di piglio ultimativo e fremente, qualcosa che sta al di là del teatro d’apparenze che vuole estraneo ai compiacimenti..
S’è scelto piuttosto una fede pittorica umile ed esclusiva, non ammantata d’alibi. Figlia anch’essa, né generazionalmente potrebbe essere altrimenti, del concettualismo, quindi d’una magrezza analitica che tutto tende a porre in distanza, a no accogliere comunque in forza d’autorità e tradizione: e che ragiona per segni e strutture e figure, in una combinatoria capace, per forzature razionali, anche d’illuminazioni
Sono figure e cose, oggetti orfani d’identità ma carichi di forza allusiva e di filigrane simboliche, sospesi a cadenzare con forza il ritmo proliferante di senso dell’immagine. Su tutti l’uovo, l’ovale meglio, ora enunciato come ganglio strutturale ora trovato nella vocazione a disporsi nelle forme, nella relazione vagamente claustrofobica che s’istaura fra le figure, oppure addirittura nella donna-feto de la grande ombra ad esempio, nelle pose singole. ..
FLAMINIO GUALDONI. MILANO 1992
Per entrare nello studio, Fedeli deve accoccolarsi, farsi piccolo piccolo e insinuarsi attraverso il basso sportellino aperto nella grande e massiccia porta cinquecentesca,di legno tormentato e annerito dai secoli; dentro, ritrovata la sua alta statura, mette mano ai grossi chiavistelli e spalanca l’antro delle meraviglie. Dapprima, per la scarsa luce, non vedo molto: oggetti affastellati qua e là fra mobili accatastati e quadri dappertutto. Poi emerge, più che un colore, un’iridescenza, un tremolìo di verdi e rosa alonati: questa tonalità serica, cangiante dà all’ambiente l’aspetto dello scrigno e predispone questo luogo già tanto carico di evocazione a una scena perfettamente preziosa e fantastica..
Così l’opera di Fedeli può coniugare insieme tante cose: un racconto fantastico e poetico, un senso mitico e antico dei luoghi naturali, una disposizione al sogno, la luce entro la quale si muovono i suoi personaggi è luce di sogno; un’eleganza nelle stesure ora veloci ora rapprese in pause di colore e materia, e questo in virtù della scelta preliminare, e fondamentale, di parlare il linguaggio della pittura e affidarsi a esso con fiduciosa emozione.
RUGGERO SAVINO ROMA, MARZO 1989
Firenze 1995
Fedeli e le sue figure..
In Fedeli il vento è colorato e pertanto non ci si meraviglia se le sue figure sussurrano cromatiche onde sonore
Espressioni per Fedeli:
esplosione in volo
arabesque cristallina, viva di colori
lirica dei colori ad olio
azzurro del glicine e verde del rame
giallo ricavato dallo zolfo
febbre policroma
ombre realizzate senza nero
luce sussurrata
chiara oscurità
sicura insicurezza
chiarezza sonnambulistica
affanno bruno
luce disturbata
univoco dubbio
ambiguità scritta coi colori
manipolazione della delicatezza
sogni fissati con la polaroid
addomesticamento del crepuscolo.
FEDELI IN ATELIER
In mezzo al Reno, presso Bingen, si erge, quasi in punta di piedi, una torre slanciata, un abile richiamo che personaggi come Brentano, Heine, Turner, Hockey hanno fatto proprio spesso, vuoi con i loro versi, vuoi per mezzo dei propri bulini. Al centro del suo atelier nella Loggia Vasariana, al n. 7, ritto sulla punta dei piedi, proteso verso lalto, sta Fedeli, identicamente slanciato come il Mauseturm di Bingen. Al posto del Reno scorrono intorno a lui i suoi quadri. Schiumano, come il Reno, colori eterei. Un pittore in mezzo a schiumante introversione, mentre dalla sua testa scaturiscono in esoterica lontananza nostalgie che, come vessilli di quella torre, si riflettono sullacqua.
CUCCHI E FEDELI
Vicino a Piazza Navona, in Roma, Cucchi disse chiaramente che ammirava Fedeli: chiaro, Cucchi ha troppa anima e Fedeli ha troppa anima. Anzi, per essere esatti, anima e psiche avviluppati insieme come in un nodo gordiano. Così come il Reno mostra presso Bingen troppi castelli e troppe spettralità, sparsa qua e là nelle troppe sere autunnali soffuse di blu prugna, di bruno caldo e doro giudaico, identicamente il Reno rivela il possesso di troppa anima, di troppa psiche, come Cucchi, Fedeli, Heinrich Heine e Mimì Burmeister
LUCE DI LAMPI NEI QUADRI
In Fedeli il groviglio dei personaggi riuniti ricorda un temporale minacciosamente in sosta. Bellezza rigida come nel Laocoonte e nella Toledo di El Greco. Già, così come i suoni possono generare echi. Così Fedeli inventa vecchie sere etrusche a ripetizione: è risonanza, è eco. Immagini ottiche sono i suoi dipinti,immagini di lampeggii molto lontani, senza eco di suoni.e Mimì Burmeister
JOACHIM BURMEISTER BINGEN SUL RENO 1994
…. Fedeli ci regala una vita rivissuta dentro il sogno della magia. Mago della pittura, ritorna a regalarci ad ogni opera il senso della introspettiva corsa verso il sé primigenio, il sé collettivo, archetipale. L’individuo è l’intera umanità. Come in Bosch, come in Goya, e così in Van Gogh
Fedeli ripercorre il pellegrinaggio dentro l’uomo, per capire, con la magia della pittura, le risposte che danno sazietà.
MARIANO APA, ROMA 1984
Questo studio è una wunderkammer che raccoglie i pensieri e i sentimenti, i desideri, le angoscie, i pensieri sul passato e sul presente, è soprattutto un diario di una vita interiore..
Tu sei nato qui, ad Arezzo, tutta la tua vita è qui dentro e intorno a questi tesori, che sono i tesori dell’umanità, la civiltà. Molti pensatori hanno scritto che la cosa più importante è creare una civiltà, in questo luogo c’è tutto, ci sono le pietre, c’è l’aura, tu sei vissuto qui, dentro un’aura, perché sei stato cosciente e noi possiamo vedere questo nelle tue opere. Molti vivono, passano e sono indifferenti, per te è come un miracolo, sei nato dentro il nido dei sentimenti dei grandi artisti che sono stati qui; Petrarca poteva darti la mano e camminare insieme per le strade, sicuramente Piero della Francesca, non è un dato turistico, è un fatto molto profondo per te
Piero della Francesca non lo hai visto soltanto come uno dei più grandi artisti, Piero è qui ed ha lasciato segni per tutti, li ha lasciati per te, non è un rituale esterno alla vita quotidiana, è dentro la vita quotidiana. Si può parlare così anche per il mondo che esiste intorno, le vedute, i cipressi, le dolci colline toscane come ha detto Dante, tutto questo per te non è solo una scenografia ma soprattutto il tuo contenuto, il miracolo è che sei collegato con tutto questo come persona, con grande coscienza, con il passato ed il presente, lo si sente qui, nel tuo studio
Se apro un tuo catalogo vedo le foto che forse sono un pensiero sul Dada, non c’è passato e futuro, c’è questo momento e c’è la nostra coscienza, ma questo non basta perché c’è bisogno di molto di più, sento in te un incredibile movimento vulcanico, vuoi sentire di più, vuoi dare di più, perché si può dare solo se abbiamo dentro qualcosa ed più importante non avere le cose ma Essere, ciò che siamo dentro di noi. Tu vuoi sapere di più per dare di più ed è questo quello che l’artista fa, essere pieno, per dare agli altri, a uno e al mondo, a quelli di adesso e a quelli di domani.
Leon Battista Alberti ha scritto che le cose che vanno più alte sono quelle più spirituali, se pensiamo all’architettura gotica è così.Queste forme allungate sono come cipressi, vanno verso il cielo, verso il cosmo, verso i nostri desideri, i sogno; sono etrusche, la bellezza incredibile e la raffinatezza degli etruschi, come le famose ombre della sera. I cipressi, l’ombra della sera, queste colonne blu che troviamo nello studio, che troviamo dentro la pittura dalla metà degli anni ’80 fino ad oggi, qui sono gli etruschi, tu sei un etrusco come un’ombra della sera..
Il blu esiste fuori dello studio, sopra, il cielo. Il blu ha influenzato tutte le civiltà, interessava anche i Cabalisti, questi grandi poeti della religione ebraica che già nell’anno mille erano immersi in questa ricerca incredibile per capire l’universo, conoscevano il disegno importante che tutto l’universo è fatto della forma di un uomo, poi troviamo questo anche nel famoso disegno di Leonardo da Vinci e dei filosofi del Rinascimento come Pico della Mirandola.
Tutto ha una connessione lontanissima, ma la cultura è un riciclaggio, è un lavorare di nuovo e pensare sul tutto, sempre di nuovo.
INCONTRI CON AMNON BARZEL NELLO STUDIO DI AREZZO IL 21 MAGGIO 2002 NELLORA BLU
Ma affinché il passato, la memoria, si riapproprino del proprio spessore, è pure necessario ritrovare una distanza da essi, sentire la difficoltà di comprenderli, coglierne la frammentarietà, sapere che quei frammenti talora non si legano fra loro, se non dopo sforzi d’interpretazione, per riaffiorare sulla tela, o sulla carta, come polluzione fantastica dell’immaginario alla ricerca di un incantesimo, o di una profanazione. Franco Fedeli, nelle sue ultime opere, rivela una tensione inappagata verso qualcosa di sfuggente, un’aspirazione ad un assoluto lontano, un desiderio che si tormenta e si compiace della stessa inquietudine. Si sente in tutto ciò una voglia di poesia, da leggersi come nostalgia di infinito, come luogo privilegiato in cui il linguaggio lascia, in fondo,trapelare il proprio segreto, generando lo smarrimento di chi non riesce a pensare questo territorio tanto intrigante perché non segue mai il confine del nostro orizzonte, bensì ci indica un andare al di là, uno spingersi oltre, uno sperdersi nel dolce naufragio di vapori azzurri e verdi, che ci riportano alle rime dell’Infinito di Leopardi..
La metafisica di Fedeli non dunque autobiografica e consolatoria, proiettata sulle aperture del futuro, anelante ad una trascendenza che s’identifica all’idea di Dio, ma cerca invece lo stupore e l’attesa che sono invece sospesi fuori dal tempo, colgono il senso profondo dell’assurdo, interrogano ogni sentimento, cercando la relatività di ogni stato d’animo, vogliono indicare l’apparente contraddizione delle cose del mondo, cioè l’enigma come principio unificante. Tutto diventa forma simbolica perché è impossibile all’artista pensare se non per forme simboliche, anche De Chirico, Giotto, Piero o Pontormo, sono simboli
Fedeli, come alcuni genius loci della sua terra, guarda all’arte come ad una alchimia per iniziati, che presuppone, ed esige, per sua natura segretezza ed interiorità..
MARISA VESCOVO MAGGIO 1988
..L’artista ci fa partecipi di emozioni e avvenimenti che in apparenza non possono avere luogo altrove, in questo labirinto che prende le forme di un sogno e che è intrinsecamente un sogno all’interno di un sogno, un quadro all’interno di uno o più quadri. Le figure, fugaci e talvolta trasparenti, sono carnali e sensuali. Si sviluppano in uno spazio fra due regioni, non tra il reale e l’irreale, ma tra un paradiso perduto e un paradiso ritrovato. Non sono muse inquietanti ma la manifestazione dell’inquietudine che si impadronisce della pittura nel momento che la volontà di rappresentazione s’impone. Quando si contempla le sue creazioni più recenti, questo microcosmo è immerso completamente nelle tonalità fauves o espressioniste, l’effetto ottenuto non è né fauves né espressionista, una dolcezza infinita tempera questi istanti dove emergono personaggi dai quali emana una profonda nostalgia e un amore indicibile